Galeotto fu il lavoro da imitatore o forse no, fatto sta che la relazione tra Virginia Raffaele e Ubaldo Pantani, altereghi comici di personaggi come Nicole Minetti e Lapo Elkann, è reale e ne da conferma la stessa Raffaele al settimanale Oggi.
Virginia, che ha lasciato la Rai per condurre Striscia la Notizia con Michelle Hunziker, racconta: “Si ride, a casa di due comici. Ogni tanto capita di darsi consigli sui personaggi. Magari io gli suggerisco un tic, lui mi ricorda un gesto. Ma ognuno ha il suo modo e Ubaldo è bravissimo. A Ubaldo piace quando imito gli amici o la gente con cui lavoriamo. Io divento matta quando la sera mi fa Giletti: ‘Ma… ma quanto so’ bello, io?“.
Un amore nato negli studi Rai di Quelli che il calcio, quest’anno condotto da Nicola Savino, anche se in questa edizione Pantani sarà solo senza la sua bella. Virginia Raffaele, però, confessa che dietro i panni da imitatrice si nasconde una donna completamente differente: “Sono malinconica. Mi metto sempre in discussione, ogni tanto mi chiudo a riccio. Con lo svantaggio che se sono giù io, si vede subito“. Del resto si è sempre detto che i migliori comici sono le persone più malinconiche e Virginia conferma la regola.
Ma com’è nata la sua passione per le imitazioni? Non indovinereste mai: “Mia nonna, che lavorava al circo, sapeva fare le parodie. Quando ero piccola, invece di Cappuccetto Rosso mi faceva le macchiette di Petrolini. Una diva vera: si chiamava Ornella, ma voleva che tutti la chiamassero col nome d’arte, Nelly. Mia mamma, che aveva con papà un luna park, è un’attrice nata. Quando ero piccola portava in tavola la pasta declamando, stile Gassman: ‘E ora… ecco le penne… al pomodoro…’, con tutte le pause. Dietro al bancone del tiro al bersaglio si vede gente di ogni tipo. Il politico, il galeotto, la coppietta clandestina“.
Virginia, da piccola, ha visto il grande attore Marcello Mastroianni mentre era impegnato sul set: “Con la troupe stava girando Verso sera. C’era una scena in cui un bambina che aveva la mia età doveva sparare per fare centro. Non sapeva nemmeno tenere in mano il fucile. Mi ricordo che io pensavo: ‘Chiamate me! Chiamate me! Io lo so fare’. Io a sparare sono bravissima“.
Una vita trascorsa al luna park. La bravissima imitatrice racconta ancora dei suoi anni passati in quella che era la sua seconda casa: “Mi piaceva, il luna park era casa mia. Finite le addizioni caricavo i fucili. E, guardando mamma, imparavo a chiamare i clienti a giocare. Perché è tutta un’arte convincere qualcuno a venire al tuo stand. Mai essere insistenti, meglio educati. Se dicevo qualcosa di troppo la parola d’ordine era Samusa. E’ gergo, la lingua segreta dei giostrai, per dire ’stai zitta’. I giostrai la usano tra loro per non farsi capire dai contrasti, ovvero ‘quelli di fuori’, i clienti“.
Un’infanzia vissuta al “contrario”. Se per gli altri bambini andare al luna park era un premio, per la Raffaele il regalo più grande era un altro: “Nel giorno di festa per me il premio più bello era un altro, visto che si lavorava la domenica, a Natale e a Pasqua. Sognavo un pomeriggio ai giardinetti. Con la mamma sulla panchina che ti guarda andare su e giù dallo scivolo e spinga l’altalena. Per me, che potevo far merenda con lo zucchero filato vicino all’ottovolante, il passatempo più ambito era un pomeriggio normale. Come quello dei miei compagni“.